Elisa è nata e cresciuta nel quartiere di Santa Croce. Un quartiere “fluido”, il primo a mutare e il primo ad aver accelerato il ritmo del suo mutamento, tanto che fermarsi, incontrarsi, riflettere su un futuro comune sembra impossibile. Forse non lo è. Forse servono altre persone come Elisa, che con voce tenue e decisa delinea un avvenire che è già qui, negli adulti di domani. Santa Croce è il mio quartiere. Da adolescenti ci trovavamo alla gelateria di via Adua o all’oratorio Don Bosco. Passavamo i pomeriggi a vedere gli allenamenti della Reggiana. Un allenatore del Progetto Aurora aveva notato che io e le mie amiche eravamo appassionate di calcio e ci lanciò una sfida: «Invece di guardare, giocate!». Iniziò ad allenarci qualche ora la settimana e costituimmo una squadra femminile. Avevamo quindici anni. Non vincemmo nulla, ma fu molto bello. Io smisi, le mie amiche invece proseguirono in altre realtà sportive.
E poi le sagre, gli eventi, le attività in parrocchia con i Salesiani. C’era molta vita, c’erano molte possibilità. Il mio sguardo è cambiato rispetto a quando ero ragazzina, perché ora vivo il quartiere da mamma di due figlie. Credo che oggi le cose siano diverse, per molti motivi. I bambini sono impegnati nelle attività extra-scolastiche, è raro vederli al parco sull’altalena. I ragazzi hanno abbandonato la strada, dove prima c’era un grande fermento. I giovani adulti, che erano il punto di riferimento per i più piccoli in oratorio, sono spariti. Trovare impegno e continuità nel mondo scout – che ho vissuto per anni – è difficile. I giovani oggi scelgono di allontanarsi dai momenti di aggregazione per puntare sull’individualità. Questo dipende dalla normalità dei tempi che cambiano, ma anche dal fatto che le nuove generazioni sono cambiate. Hanno più opportunità e distrazioni, mentre per me tutto il mondo girava qui, tra queste vie, queste piazze. Eppure, i giovani sono l’esempio positivo di una comunità in transizione: ancora non è unita, ma vive la multiculturalità come fatto assolutamente scontato, assodato e superato. Siamo noi adulti a faticare di più con integrazione e accoglienza. La multietnicità e la multiculturalità sono ricchezza, sono il futuro dei nostri figli. Il cambiamento è inevitabile e per niente spaventoso. Santa Croce vive questo disagio forse più di altri quartieri. Siamo stati i primi a vivere l’immigrazione: abbiamo visto arrivare molte persone dal sud dell’Italia e dall’estero, Don Daniele Simonazzi aveva qui una comunità di accoglienza per migranti stranieri. Questo ha diffuso nei più un atteggiamento di diffidenza verso il quartiere e la sua qualità di vita, per me ingiustificato. Via Adua è densa di servizi e opportunità. Tutto ciò che serve è qui: supermercati, negozi, parrocchia, scuole, arena concerti, associazioni sportive e culturali. Abbiamo addirittura una palestra specializzata per l’arrampicata che ci invidiano in tutto il nord Italia! Oltretutto, siamo a pochi minuti dal centro città. Quello che manca è il senso di comunità e i luoghi per poterlo sentire e vivere. Il quartiere è fluido, muta in fretta e spesso non si riesce a fare aggregazione. Ogni comunità straniera ha i suoi modi per supportarsi internamente, ma non c’è un dialogo strutturale tra le varie nazionalità. Ci sono molti tentativi per dare vita a nuove collaborazioni, come le preghiere multietniche a cui ho partecipato. Tuttavia, penso che siamo molto diversi e che la strada sia ancora lunga. Spero che i nostri figli sapranno raggiungere un incontro fruttuoso tra culture, spero che non sia solo un’utopia. Io voglio che le mie figlie possano contare su Desmond, Kevin, Mattanya, Cheng se dovessero avere bisogno. Io, se non avessi la fortuna di vivere con nonni, fratelli e cugini, fatto assai raro oggi, non avrei punti di riferimento o persone su cui contare. Desidero che le mie figlie possano rivolgersi alla vicina, all’amica. Desidero che vivano in una comunità solida. E voglio che conoscano e rispettino le differenze che incontrano. Frequentando la scuola comunale del Centro Internazionale Loris Malaguzzi, le mie figlie sono abituate all’incontro con le altre culture. Abbiamo scelto di mandarle a scuola lì soprattutto perché il programma è innovativo, l’ambiente è adatto all’apprendimento e l’approccio educativo mette in luce le potenzialità dei bambini. Purtroppo, le altre scuole del quartiere non potevano reggere il confronto. Alcune sono ferme nel tempo a quando io e i miei fratelli le abbiamo frequentate e trovo che questa disuguaglianza sia triste. Qualche neo ovviamente c’è anche alla scuola comunale. Io sono educatrice professionale per persone con disabilità e mi è dispiaciuto constatare che in classe con le mie figlie non ci siano bambini fragili. È importante conoscere la disabilità, imparare a renderla parte della varietà che arricchisce la vita. Io e mio marito amiamo vivere il quartiere come famiglia. Giriamo spesso in bicicletta, cerchiamo di dare alle nostre bambine dei punti di riferimento per potersi orientare quando un domani gireranno da sole, per poterlo fare con intelligenza e senza paura. Certamente, Santa Croce rimane un quartiere di grandi contraddizioni. Una scuola amplia le aule, l’altra non ha la carta per le fotocopie. Da un lato il giallo shock del Centro Internazionale, dall’altro il grigiore delle Officine Reggiane. Qualcosa non sta ancora funzionando e spero che ci siano pensieri dedicati alle persone che vivono in condizioni di grave indigenza. Sebbene la parrocchia si stia svuotando, io continuo a dare il mio contributo come catechista, perché voglio salvaguardare uno dei pochi luoghi di aggregazione rimasti, sperando che non fuggano tutti. Il nostro parroco segue cinque parrocchie: fa quello che può, ma io, come genitore, sento di volermi spendere. Domani? Vorrei fare di più, vorrei agire qui coinvolgendo maggiormente mio marito e le mie figlie. Le persone a cui penso più spesso sono gli anziani. Ce ne sono molti che hanno salutato i figli, trasferitisi altrove, e ora vivono soli. Non penso a grandi cose, solamente ad organizzare una spesa solidale, oppure ad aiutare coloro che oggi hanno paura ad uscire di casa per colpa della pandemia. Non so ancora cosa, ma di certo mi impegnerò al massimo per il mio quartiere.
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Luglio 2022
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